L’eredità
“Volterra è la più settentrionale delle grandi città etrusche del Tirreno. È situata a una cinquantina di chilometri nell’entroterra su una scogliera rocciosa esposta ai quattro venti, con una vista sterminata sul mare dall’alto della valle del Cecina”. Così D.H. Lawrence descriveva in “Paesi etruschi” quella che fu una delle più importanti lucumonie etrusche, una trentina di km a sud ovest di San Gimignano. Dell’antica Velathri restano buona parte della cinta muraria, con la Porta dell’Arco e la Porta di Diana, ora sormontata da un arco medievale, l’acropoli, oltre 600 urne funerarie in tufo o alabastro rinvenute nei dintorni e ora conservate nel Museo etrusco Guarnacci, uno dei più interessanti d’Italia. Altri resti importanti sono l’urna degli Sposi, una terracotta che ritrae due anziani coniugi distesi sul letto del convivio (I a.C.) e l’ex-voto in bronzo denominato l’Ombra della sera, la figura allungata di un giovanetto di eccezionale modernità risalente al III secolo a.C..
La storia
L’antica Velathri fu un importante centro commerciale e lucumonia etrusca, parte della confederazione della Dodecapoli. Come altre cittadine etrusche, era protetta dalla sua posizione naturale, sopra un colle, e in più da una cinta muraria il cui perimetro era di circa 7 Km e venne realizzata con blocchi di pietra locale attorno al V secolo a.C.. Sappiamo che nel IV secolo la città controllava un ampio territorio circostante e fu sede di un fiorente artigianato. Vi si estraeva e vi si lavorava infatti l’alabastro. Particolarmente vivace fu la produzione e l’esportazione di urne funerarie, prima in tufo e dopo qualche tempo in alabastro, estratto dalle cave della valle dell’Era e dell’alta valle del Cecina. Da produzione nata per pochi committenti essa dovette assumere in seguito, fra il II e il I secolo d.C., caratterische di produzione di massa. La cittadina fu una delle ultime a perdere la sua autonomia rispetto a Roma. Volaterrae, come la ribattezzarono i Romani, entrò nella confederazione romana verso il 260 dopo che nel 298 a.C. fu sconfitta dalla legioni di Lucio Scipione Barbato. Livio ci informa che nel 205 a.C., durante la seconda guerra punica, la cittadina fornì insieme ad altre legname per navi e frumento. Nel 90 a.C. il processo di assorbimento si completò con l’ottenimento della cittadinanza romana.
Le aree archeologiche
La città
Velathri era circondata da una cinta muraria lunga oltre 7 km, realizzata in blocchi di pietra locale nella prima metà del V secolo a.C. e poi ampliata nel IV, sulla quale vennero in seguito costruite le mura medioevali. La Porta dell’Arco etrusco è uno dei reperti più antichi, con i fianchi che dovrebbero essere coevi alle stesse mura etrusche, mentre l’arco sembra di età più tarda, forse del I a.C.. Le tre teste che decorano l’esterno potrebbero rappresentare divinità o essere il ricordo di nemici vinti. La Porta di Diana o Portone, che oggi è sormontata da un arco medievale, si trova al di fuori della cinta delle mura medioevali, in direzione della Val d’Era, oltre il cimitero comunale, e collegava la città con la principale necropoli. Su quella che era l’acropoli sorge il Parco archeologico Enrico Fiumi dove sono visibili le fondamenta degli edifici che un tempo vi sorgevano. Si riconoscono infatti due templi del II secolo e alcune cisterne per la raccolta dell’acqua piovana.
La Necropoli del Portone
Si tratta dell’unica necropoli conservatasi fino a oggi di un centro importante come quello di Volterra. Venne ritrovata nel corso dell’Ottocento, sulla strada che dalla città conduce in Val d’Elsa, e comprende due tombe a ipogeo. Si trova in località Marmini di Sotto nella Villa Marmini, detta così perché costruita con i “marmi”, frammenti di alabastro di urne etrusche ritrovate nella zona, molte delle quali sono conservate nel Museo Guarnacci e in quello Archeologico di Firenze.